Il ROS (Raggruppamento Operativo Speciale)
nasce il 3 dicembre del 1990,
e l'allora tenente colonnello Mori ne è uno dei fondatori.
La struttura, individuata quale Servizio Centrale Investigativo, assume, per l’Arma dei carabinieri, la competenza a livello
nazionale delle indagini nel settore della criminalità organizzata e terroristica. Mario Mori
ne cura la definizione della struttura ordinativa e della dottrina d’impiego,
assumendo anche il comando del I Reparto.
Nel libro "Ad Alto Rischio",
scritto a quattro mani con il giornalista Giovanni Fasanella, il
generale Mori non svela segreti di stato ma esprime con franchezza il
suo punto di vista su molti argomenti interessanti.
Mario Mori sulle sue origini:
"Sono
nato a Postumia Grotte (ex-territorio di Trieste) il 16 maggio 1939.
Vuol dire che sono nato in Italia e otto anni dopo la mia terra non era
più italiana. Non mi considero un profugo in senso stretto ma oggi
posso dire di non aver mai apprezzato il modo con cui il governo
italiano si è sbarazzato dell'ingombrante problema rappresentato da
quelle terre e da quelle popolazioni. L'esperienza della frontiera, il limite oltre il quale c'è un nemico mortale,
tanto più insidioso in quanto a un passo da casa, ha condizionato
l'intera storia italiana del dopoguerra e naturalmente anche quella
della famiglia Mori e la mia personale. Mio padre Francesco era un
ufficiale dei Carabinieri. Io ne ho seguito le vicende e i
trasferimenti, e quindi ho dovuto compiere i miei studi in giro per
l'Italia. Ho accompagnato mio padre nelle sue peregrinazioni, ne ho
condiviso i disagi che spesso procura la vita da carabiniere, ma
anche l'esempio, i valori morali, i principi. E ne ho seguito le orme
professionali. Frequentai i corsi dell'Accademia militare di Modena e
quelli della Scuola di applicazione di Torino. Poi entrai nell'Arma e
nel 1966 fui promosso tenente."
Alcune testimonianze di. Mario Mori sulla nascita del ROS:
“La selezione degli uomini avveniva solo per chiamata
diretta, uno ad uno, perché cercavamo solo personale specializzato e con
un’esperienza di impiego continuativo in settori operativi; meglio pochi ma buoni.”
“La filosofia del nuovo codice di procedura penale aveva
determinato una sorta di genericità professionale e di deresponsabilizzazione,
persino una riluttanza all’impiego totale delle strutture nell’attività
investigativa.”
“Nella lotta contro il nemico servivano specializzazione e
duttilità.”
“Quando ero con Alberto Dalla Chiesa al nucleo
anti-terrorismo ci diceva sempre: ‘doveste sforzarvi di conoscere - e possibilmente
anche usare – il vocabolario e le tecniche dei vostri avversari, perché così
sarete in grado di individuare il filo conduttore dei loro ragionamenti e di
anticipare le loro mosse'.”
“Tra i primi uomini del ROS devo citare il maresciallo
Giuseppe Sibilia, una persona colta, solare e di grande sensibilità; era stato
uno dei più stretti collaboratori del colonnello Giuseppe Russo, ucciso dalla
mafia nel 1977; con i suoi insegnamenti e i suoi consigli il maresciallo
Sibilia non è solo un prezioso collaboratore, è un fratello maggiore”.
“Fin dai primi tempi abbiamo acquisito un vantaggio
strategico rispetto al nostro avversario raggiungendo una “superiorità
informativa”; perché questo era il principio base che ispirava l’intera
dottrina del reparto, un concetto semplice ma efficace: acquisire più dati
possibili sui tuoi nemici senza farti scoprire e conoscere.”
"Il ROS non si è mai appiattito sui teoremi, sulle verità preconfezionate. Ha invece percorso strade molto spesso scomode e pe rquesto ha subito gli attacchi dei benpensanti. Soprattutto nei primi anni, il ROS è finito nel mirino dei "professionisti dell'antimafia" come li definiva un intellettuale acuto come Leonardo Sciascia, il quale, da siciliano profondamente conoscitore della sua cultura e della sua psicologia, sapeva benissimo che il confine tra il Bene e il Male non è mai nettissimo. Noi del ROS costituivamo una minaccia per l'equilibrio imposto dai corleonesi e dai loro protettori.
Ci furono avevrtimenti con inviti chiarissimi e trasversali a rietrare nei ranghi e a tenere comportamenti investigativi più allineati; inviti che naturalmente non accogliemmo, perché sapevamo di essere dalla parte della ragione."
Commenti conclusivi del libro:
La sentenza di assoluzione nel 2006:"Il ROS non si è mai appiattito sui teoremi, sulle verità preconfezionate. Ha invece percorso strade molto spesso scomode e pe rquesto ha subito gli attacchi dei benpensanti. Soprattutto nei primi anni, il ROS è finito nel mirino dei "professionisti dell'antimafia" come li definiva un intellettuale acuto come Leonardo Sciascia, il quale, da siciliano profondamente conoscitore della sua cultura e della sua psicologia, sapeva benissimo che il confine tra il Bene e il Male non è mai nettissimo. Noi del ROS costituivamo una minaccia per l'equilibrio imposto dai corleonesi e dai loro protettori.
Ci furono avevrtimenti con inviti chiarissimi e trasversali a rietrare nei ranghi e a tenere comportamenti investigativi più allineati; inviti che naturalmente non accogliemmo, perché sapevamo di essere dalla parte della ragione."
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