Il mattino del 12 novembre 2003, in Iraq, nella città di Nassirya controllata dalle truppe italiane, un camion cisterna sfonda la sbarra di ingresso del cortile, esplode e distrugge Base Maestrale dei Carabinieri. L'esplosione è talmente forte che Base Libeccio, a 400 metri, viene gravemente danneggiata.
Muoiono 28 persone, delle quali 19 italiani, 12 carabinieri, 5 militari dell'Esercito e due civili.
Secondo un nostro amico appuntato, residente a Pioltello, presente a Nassirya e scampato per poco alla strage, "il colonello Georg Di Pauli si adoperava con energia per migliorare la sicurezza delle basi, ma non disponeva di fondi e doveva quindi arrangiarsi con il materiale disponibile."
col. Di Pauli |
oltre al dolore, rimangono alcune perplessità
La procura militare di Roma nel 2007 chiese il rinvio a giudizio per due generali dell’esercito – Bruno Stano e Vincenzo Lops – e per il colonnello dei Carabinieri Georg Di Pauli, già veterano delle missioni in Libano e in Kossovo.
Dopo lungo iter giudiziario furono assolti tutti con formula piena. Stranamente la procura militare di Roma escluse dall’inchiesta i due generali che firmarono l’ordine di operazione: Rolando Mosca Moschini, capo di stato maggiore della difesa; Filiberto Cecchi, comandante operativo di vertice.
La procura militare sostenne che i tre comandanti operanti a Nassirya ricevettero un credibile preavviso dell’attentato dal SISMI, all'epoca diretto dal generale Niccolò Pollari. Tale circostanza rimase indimostrata. Pollari non fu mai interrogato.
Un'altra perplessità riguarda gli armamenti: solo un razzo controcarro avrebbe arrestato la cisterna con 4 tonnellate di esplosivo prima che arrivasse troppo vicino a Base Maestrale. I carabinieri a Nassirya non avevano razzi controcarro ma solo armi leggere, ovviamente inadatte. (Non dimentichiamo che la tipologia delle armi a utilizzate a Nassirya era stabilita nell’ordine di operazioni, scritto a Roma da Mosca Moschini e da Cecchi, non dai comandanti operativi agenti sul terreno). Armi più pesanti arriveranno solo nel luglio del 2004. Come in tante altre dolorose occasioni, il valore degli uomini viene annullato dalla mancanza di armamento adeguato.
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Una terza perplessità riguarda la superficialità delle indagini e delle perizie. La procura militare non dispose alcuna perizia scientifica sull’evento centrale: l’esplosione. Questo mistero rimane tutt'oggi inspiegato.
La procura militare congetturò 400 chili di esplosivo per l’esplosione. Ambedue le inchieste, una affidata a un generale dell'Esercito, l'altra a uno dei Carabinieri, stabilirono che la quantità di esplosivo era di circa 400 chili di tritolo.
Le due basi distavano 400 metri e qualunque militare può comprendere che 4 quintali di tritolo non possono causare distruzioni su un’area così vasta ma i due generali di corpo d’Armata non se ne resero conto ...
Il generale Bruno Stano (EI) è tutt'ora sotto processo per aver sottovalutato il pericolo di una base troppo esposta e non aver dato peso agli avvertimenti provenienti dai Servizi.
Due anni dopo l’inizio dei processi e dopo ben quattro anni dall'attentato, il prof. Adolfo Bacci e l’ammiraglio Roberto Vassale, due periti di lunga esperienza ingaggiati dalle difese degli imputati, affermarono che a Nassirya esplosero 4 tonnellate di tritolo e non 4 quintali.
Infine: se la missione era solo "umanitaria", come hanno sempre assicurarato i due ministri degli Esteri di quegli anni, era accettabile che i Carabinieri si schierassero nel centro di Nassirya, senza protezioni adeguate. I racconti di nostri amici Carabinieri che hanno partecipato a quella missione, tuttavia, dipingono ben altro scenario ...
I 12 carabinieri deceduti: lgt. Enzo Fregosi; mar.s.ups Giovanni Cavallaro; mar.s.ups Alfonso Trincone; mar.s.ups Filippo Merlino; mar. capo Alfio Ragazzi; mar. capo Massimiliano Bruno; mar. ord. Daniele Ghione; vice brig. Giuseppe Coletta; vice brig. Ivan Ghitti; app. Domenico Intravaia; car.sc. Horacio Majorana e car.sc. Andrea Filippa.
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