sabato 30 luglio 2016

un jihadista a Vaprio

Aftab Farooq
 30 luglio 2016.  A Vaprio d'Adda ieri sera i carabinieri del ROS hanno arrestato, Aftab Farooq, un 26enne di origine pachistana.
Nel corso di controlli durati diversi mesi, 
la procura nazionale antimafia e anti-terrorismo aveva raccolto prove di un crescente processo di radicalizzazione che ha portato il giovane pachistano a un passo dal jihad.  Il pachistano era giunto in Italia con i propri familiari 13 anni fa. Ultimate le scuole in Italia, aveva trovato un lavoro come magazziniere e viveva in un vecchio cortile nel centro storico di Vaprio.

Come emerso dalle indagini dei Carabinieri, guidati dal colonnello Paolo Storoni, svolte anche in collaborazione con organi di polizia esteri, il Farooq era molto attivo sui social network, ricercava documenti e filmati riconducibili al fondamentalismo islamico e al terrorismo di matrice jihadista e intratteneva contatti virtuali con soggetti dello stesso orientamento islamico-radicale.  
Alcuni di questi soggetti sono stati successivamente colpiti da provvedimenti cautelari per fatti di terrorismo ed espulsi dall'Italia per gli stessi motivi, come nel caso dell'albanese 
Ibrahimi Bledar, un albanese 25enne residente a Pozzo d'Adda.

Aftab Farooq stava ultimamente preparandosi alla "guerra santa" con un atto di martirio. Tra i potenziali obiettivi del pachistano pare ci fosse anche il vicino aeroporto di Orio Al Serio, che secondo lui "è protetto solo fa una fragile rete metallica". Il miliziano dello Stato islamico sapeva dove andare a reperire materiale per la costruzione di ordigni esplosivi.

Oltre a desiderare di raggiungere la Siria per unirsi ai guerriglieri dello Stato islamico, tentando di convincere in tale proposito la moglie e altri connazionali, ha mostrato segni di progressiva esaltazione ideologica a sostegno del Califfato, avendo già prestato giuramento di sottomissione al califfo Abu Bakr al Baghdadi.




Contro di lui il ministro degli Interni ha emesso un provvedimento di espulsione dal territorio nazionale "per motivi di sicurezza pubblica". 


vedi anche:   articolo del 3 luglio 2015


venerdì 22 luglio 2016

Monaco, Utoya e Alfano

Aly Sonboly e il MacDonalds

Due esempi di stragi che sono avvenute anche perché nessuno dei "buoni" era armato.


22 luglio 2016 - All’interno del centro commerciale Olympia-Einkaufszentrum di Monaco di Baviera, stasera verso le 18, Aly Sonboly, un 18enne tedesco-iraniano ha ucciso nove persone e ferito altre 35 con una pistola Glock 17 che sarebbe stata acquistata su un sito web per il commercio illegale e parallelo di armi. Il numero di matricola (abrasa ma ancora leggibile) fa risalire l’arma al un lotto venduto in Slovacchia nel 2014. 

L’attentatore di Monaco era decisamente ispirato, se non ossessionato, nella sua azione da Anders Breivik. Secondo quanto pubblicato dal quotidiano bavarese Sueddeutsche Zeitung, il suo personal computer era pieno di immagini dell’attentatore di Utoya ed il suo "manifesto". Venerdì era il giorno del quinto anniversario della strage di Utoya. Il killer ha usato a Monaco la stessa pistola utilizzata a Utoya da Breivik, una Glock 17 calibro 9x19 mm. Se la sarebbe procurata online su una “darknet”, senza dover fornire alcuna informazione sulla sua identità. 

Tra la folla del centro commerciale di Monaco, nessuno altro era armato e nessuno ha potuto contrastarlo. I morti potevano essere molti di più.

Cinque anni prima, in Norvegia, sull'isola di Utøya era in corso un campus organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese. Un uomo vestito con una strana uniforme simile a quella della polizia (vedi immagine sotto) e provvisto di documenti falsi  giunse sull'isola e aprì il fuoco sui partecipanti al campus, uccidendone 69 e ferendone 110, di cui 55 in maniera grave.


Anders Breivik sull'isola

Il responsabile degli attentati, Anders Behring Breivik, trentaduenne norvegese, fu arrestato in flagranza a Utøya.
Anders Breivik si era avviato verso Utøya, vestito da agente della polizia norvegese e fingendo di cercare bombe sull'isola. Arrivato sull'isola con un traghetto, Breivik dapprima ha ucciso con una pistola Glock i direttori del campo, quindi si è diretto verso i giovani raccolti in un punto di ristoro, ha estratto una carabina semi-automatica e ha incominciato a sparare sulla folla, arrivando a uccidere 69 giovani tra i 14 e i 20 anni.


Tra i presenti nessuno era armato e nessuno ha potuto contrastarlo. Diversi tra i morti erano feriti che sono poi stati giustiziati con calma da Brievik, che agiva indisturbato.


Solo dopo un'ora e mezza, la DELTA (Unità Norvegese Anti-Terrorismo), una unità di elite della polizia, ha fatto irruzione sull'isola e l'attentatore si è consegnato senza opporre resistenza.
 


Sopra: mappa dell'isola di Utoya e delle vittime della strage, i pallini rossi indicano i morti, quelli gialli i feriti.


E' giusto che i comuni cittadini siano sempre disarmati e quindi senza mezzi per opporsi a terroristi o squilibrati violenti?

E' giusto che molti carabinieri e poliziotti fuori servizio spesso portano con loro il tesserino identificativo ma lasciano in caserma la pistola d'ordinanza?

Il ministro dell' Interno, Angelino Alfano, ha chiesto ai membri delle forze dell'ordine di girare armati anche fuori servizio.


Per favorire una riflessione sul tema ecco un articolo di Luca Marco Comellini;




il poliziotto e la pistola



Nei giorni scorsi il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha invitato gli appartenenti alle forze di polizia a portare con sé l’arma in dotazione anche fuori dal normale orario di servizio. Un invito che ha sollevato non poche polemiche e mentre da parte dei sindacati del personale della Polizia di Stato le prese di posizione sulla vicenda sembrano orientate a privilegiare le richieste di tipo economico, facendo emergere il più significativo “se il Ministro vuole di più deve dare molto di più”.
Colpisce immediatamente nel segno la riflessione postata dall'avvocato Giorgio Carta sulla sua pagina Facebook. Il professionista, ex ufficiale dei carabinieri e molto noto nell'ambiente delle uniformi per la sua attività di tutela legale (...)
In una intervista rilasciata a Tiscali, il legale ha chiarito gli aspetti giuridici della richiesta del ministro Alfano.


Avvocato quella del ministro è una richiesta in linea con le attuali regole contrattuali?
"L’invito del Ministro è in sé sicuramente conforme alle attuali disposizioni di legge: gli appartenenti alle forze dell’ordine dotati di arma individuale, infatti, possono portarla con sé anche quando sono liberi dal servizio. E’ considerata una facoltà, non un obbligo e, difatti, il Ministro si è espresso in termini di “invito”. In ogni caso, a prescindere dal porto o meno della pistola di ordinanza, tutti gli appartenenti alle Forze dell’ordine hanno l’obbligo di intervenire per impedire la commissione di reati o per reprimerli anche fuori dell’orario di lavoro.
In verità, al riguardo, la Cassazione ha talvolta operato un distinguo tra le forze dell’ordine a ordinamento militare (considerate in servizio 24 ore al giorno in virtù del cosiddetto servizio permanente effettivo) e quelle a ordinamento civile, in alcune sentenze ritenute in servizio soltanto durante l’orario di lavoro.
Sinceramente questa distinzione non mi trova concorde e ritengo che anche il poliziotto libero dal servizio abbia l’obbligo giuridico di intervenire per impedire la commissione di reati.
Qual è il problema? 
“Il problema è un altro ed è prevalentemente morale e strutturale, più che economico. L’opinione pubblica e la stampa italiane hanno da tempo immemorabile ghettizzato ed isolato poliziotti e militari. Abbiamo, infatti, lo stupefacente paradosso di avere forze dell’ordine tra le meno violente al mondo e che, ciononostante, vengono regolarmente accusate di esserlo. Non mi riferisco a singoli casi, ma alla tendenza generale.
I nostri poliziotti sono così costantemente accusati di essere violenti da essere stati ormai grandemente inibiti a difendersi ed a fare un uso legittimo delle armi e, addirittura, indotti ad accettare anche gravi oltraggi e violenze senza reagire.
Questo è davvero triste perché constato come, sempre più spesso, la paura della crocifissione pubblica (e dei processi penali e disciplinari conseguenti) induca i cittadini in uniforme a subire offese ed aggressioni inaccettabili che in altri paesi sarebbero immediatamente ed energicamente represse con il plauso della stampa e della società civile."


Quali potrebbero essere i rischi per operatori e cittadini?"
Premesso che, in Italia, i rischi corsi dalle forze dell’ordine non importano praticamente a nessuno, il problema è inevitabilmente destinato a influire sul grado di sicurezza della nostra società, ma questo aspetto non è mai adeguatamente considerato, specie dalla stampa forcaiola (di poliziotti). Un tutore dell’ordine demotivato e timoroso di finire sotto processo per atti che sarebbero assolutamente legittimi oltreché dovuti (come fermare fisicamente un delinquente) nuoce non solo a se stesso, ma alla collettività, che inevitabilmente è meno protetta. La fondamentale differenza tra i Paesi stranieri e l’Italia è che nei primi è pacificamente accettato, in caso di pericolo anche solo supposto o putativo, il rischio che a rimetterci la pelle sia il delinquente e finanche il mero "sospetto". In Italia, il principio è ribaltato e si considera più accettabile che, nel dubbio, ci rimetta la pelle il cittadino in uniforme. Del resto, quest'ultima eventualità trova poi un esiguo ed effimero spazio nei giornali, non fa scendere per strada le folle né mette a rischio la poltrona di alcuno." 
Quanti preferiscono voltarsi dall'altra parte e perché?
"Impossibile quantificarli, ma ci sono e, per fortuna, restano ancora una minoranza. Parimenti è impossibile quantificare i tanti che, nonostante tutto, non arretrano e continuano a combattere la delinquenza con coraggio e determinazione. (...) Il problema è che i primi sono destinati a crescere e, difatti, oggi sono molto meno critico di un tempo verso coloro che, se possono, cercano “di imboscarsi” in un ufficio per non avere problemi."
Un consiglio al ministro?
"Il primo consiglio da dare a tutta la politica è di dotare urgentemente le nostre forze dell’ordine delle armi non letali già a disposizione delle altre polizie del mondo.
Penso, innanzitutto, al taser ed agli spray urticanti. Senza questi strumenti, i nostri poliziotti sono ancora costretti ad affrontare a mani nude un delinquente armato di coltello o di una spranga e questo è assolutamente insensato e suicida. Peraltro, essendo l’opinione pubblica notoriamente più preoccupata dei danni fisici subiti dai malviventi piuttosto che dai poliziotti, le armi non letali preserverebbero entrambi e consentirebbero arresti indolori e del tutto non violenti.  
Quale potrebbe essere il ruolo dei media?
“Più che alla politica, però, voglio rivolgermi alla stampa ed alla cosiddetta società civile, esortandole a considerare che il corpo di un poliziotto è l’ultimo baluardo della loro sicurezza. Oltre il vituperato “muro umano” degli operai con le stellette, infatti, ci sono le loro case ed i loro cari. L’ostracismo generalizzato - che da sempre mi fa ritenere che questo non è un Paese per poliziotti -  prima o poi si ritorce contro i cittadini e davvero non mi capacito del perché non si faccia mai questa semplice considerazione se non ora che il terrorismo internazionale rende la cittadinanza più timorosa e, guarda caso, più esigente verso le forze di polizia, chiamate a rendersi disponibili anche fuori dal servizio”.
Lei, dunque, chiede anche una protezione giuridica?
Il problema, quindi, non è chiedere questo ulteriore sforzo (che generosamente i nostri concittadini in uniforme non esiterebbero a fornire), ma di proteggerli giuridicamente e materialmente affinché possano svolgere efficacemente e con maggiore serenità il loro delicato compito, possibilmente sentendosi amati dalla gente. Sempre che non sia chiedere troppo."
Ecco la riflessione dell’Avvocato Carta pubblicata su Facebook:
 “Premesso che, fintanto che sono stato carabiniere, ho sempre portato con me la pistola anche libero dal servizio, perfino al mare ed in palestra, l'invito generalizzato del ministro Alfano a fare altrettanto mi lascia stupefatto. Infatti, come si può pretendere da un poliziotto o un militare italiano di tenersi pronto (a sparare?) in ogni circostanza se, anche quando è in servizio, passa l'anima dei guai se solo torce un capello ad un delinquente che magari lo sta aggredendo?
Abbiamo lasciato devastare piazza di Spagna dagli hooligans sotto lo sguardo impotente della polizia schierata ed ora pretendiamo che le forze dell'ordine intervengano anche fuori servizio, magari quando sono con moglie e figli?  Da decenni, soprattutto per colpa della stampa e della cosiddetta società civile, abbiamo indotto le forze dell'ordine a ritenere preferibile e raccomandabile il voltarsi dall'altra parte e, ora che abbiamo paura, le vogliamo pronte ad attivarsi anche mentre fanno la spesa al supermercato? Soprattutto, quando si decideranno a dotarle in servizio degli strumenti necessari (in primis il Taser) per neutralizzare i violenti senza andare a loro volta all'ospedale (e poi a processo)?”.
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volenteroso e coraggioso

Alessandro Bernareggi

22 luglio 2016. Stamattina il nostro socio Alessandro Bernareggi, fuori servizio ma sempre all'erta, ha salvato due donne e una bambina rimaste bloccate in un appartamento in fiamme al secondo piano in una palazzina di Via Dante a Limito.
Pur essendo fuori servizio, il nostro volontario 77enne non ha esitato un attimo a precipitarsi nell'appartamento e fare uscire le donne paralizzate dal panico.Alessandro svolge un'assidua opera di volontariato da ben 30 anni con ANC Pioltello.




Nella fotografia sopra:  Alessandro Bernareggi in uniforme operativa, accanto al maresciallo Marocco e all'allora brigadiere-capo Angelo Maier.


Sotto:  Alessandro da 30 anni accanto ai nostri carabinieri:
 

lunedì 18 luglio 2016

un generale molto operativo

Gaetano Maruccia

18 luglio 2016.  Il comandante generale Tullio dal Sette ha nominato il nuovo Capo di Stato Maggiore dell' Arma dei Carabinieri (il terzo gradino nella gerarchia dell'Arma). Si tratta del generale di divisione Gaetano Maruccia.
Dal luglio del 2015 è stato sottocapo di stato maggiore. Prende il posto del generale Ilio Ciceri, che assume il comando dell’Interregionale Podgora.

In un periodo di tensioni crescenti non possiamo che apprezzare la scelta di un uomo che ha passato quasi tutta la sua carriera in reparti e uffici operativi. 

In tutte le città dove è stato assegnato, Maruccia si è sempre distinto per la sua serietà, per la sua attenzione su ogni problema sociale del suo territorio e su ogni devianza criminale.

Il Generale Gaetano Angelo Antonio Maruccia, originario di Manduria (TA) è nato a Taranto il 5 febbraio 1957, è coniugato con la signora Angela. Hanno due figli e vivono a Montecatini, in provincia di Pistoia.
 

Molti impieghi operativi

Con il grado di tenente, è stato in Sardegna, prima comandante di plotone presso la Scuola Carabinieri di Iglesias, poi comandante della Tenenza di Villacidro (CA) negli anni 1981-1984.
Successivamente ha continuato l' esperienza territoriale, nel grado di capitano, quale comandante delle compagnie di Montecatini Terme (PT) 1984-1989 e Ostia 1989-1991.
Risiede tutt'ora a Montecatini.

Conseguito il grado di maggiore, ha ricoperto diversi incarichi nell' ambito
dell' Ufficio Operazioni del Comando Generale dell' Arma (1991-1995), fino alla promozione a tenente colonnello, quando è stato destinato al Comando Provinciale di Pisa (1995-1999).
Rientrato al Comando Generale, ha ricoperto l' incarico di Capo Sala Operativa e, successivamente alla promozione a colonnello, gli è stato affidato l' incarico di Capo Ufficio Piani e Polizia Militare e, in seguito, di Capo Ufficio Operazioni (1999-2003).
Impiegato nuovamente nell' Arma territoriale, ha retto i comandi provinciali di Catania (2003-2005) e Napoli (2005-2009).
Dopo i quattro anni trascorsi a Napoli, Gaetano Maruccia viene promosso generale in anticipo per meriti straordinari. Si è infatti distinto per la lotta alle decine di clan della provincia con 4 mila arresti nel 2008, la scoperta di covi di narcos in Spagna, tre notti in bianco e cattura dei rapinatori che uccisero il tenente Marco Pittoni.


Marco Pittoni
Dal 2009, nel grado di generale di brigata, è capo del II Reparto "Impiego delle Forze" del Comando Generale dell' Arma per assumere poi nel luglio 2012 il comando della Legione Carabinieri "Lazio".

Gli studi

Arruolatosi nel 1977, è stato frequentatore del 159esimo corso dell' Accademia Militare di Modena e successivamente del corso di applicazione alla Scuola Ufficiali dei Carabinieri. 
Si è laureato in Scienze Politiche presso l' Università di Siena, in Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna presso l' Università di Roma Tor Vergata, in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l' Università di Trieste, in Scienze della Pubblica Amministrazione presso l' Università di Catania.
Ha frequentato il Corso Superiore di Stato Maggiore presso la Scuola di Guerra
di Civitavecchia.

giovedì 14 luglio 2016

sempre in guardia

Nizza subito dopo la strage
Non è tempo di vacanze estive. Occorre rimanere sempre in guardia, per cercare di prevenire ogni genere di crimine, per contrastarlo e per soccorrere i feriti, con professionalità e sangue freddo.
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Nizza, 14 luglio 2016.  Verso le ore 23 un autocarro che viaggiava procedendo a zig-zag  ha investito la folla assiepata sul lungomare per i fuochi d’artificio della festa francese del 14 luglio.
La folle corsa è proseguita per circa 2 Km e pare abbia provocato oltre 80 morti e molte decine di feriti.
A vigilare sulla sicurezza di diverse migliaia di cittadini e turisti erano presenti solo 45 agenti della polizia municipale, con armi corte.

Finalmente alcuni agenti 
pare siano riusciti a sparare all’autista, che si presume sia Mohamed Lahouaiej Bouhlel, un 31enne di origine tunisina residente in Francia, con un profilo caratteriale totalmente diverso dal tipico kamikaze.


Sotto, il filmato dei poliziotti che sparano contro il lato destro della cabina del camion:







Sopra: il camion con il parabrezza crivellato dai colpi sparati dalla polizia francese.

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Lo scorso 23 giugno, Patrick Calvar, il capo del Dgsi (il servizio francese per la sicurezza interna, equivalente della nostra AISI ), aveva lanciato un pesante avvertimento sul rischio di "guerra civile" in Francia in caso di nuovi attentati di matrice islamica.
Teniamo presente che i musulmani in Francia sono ben 6,1 milioni, quasi il 10% della popolazione totale.  ( vedi anche:  ultime statistiche sulla popolazione di Pioltello )

Ancora più impressionante questo dato: in Francia su una popolazione carceraria di 67.500 reclusi, i prigionieri di etnia islamica sono ben 47.250
Quindi i mussulmani rappresentano il 70% dei carcerati.

A titolo di confronto, nel 2015 in Italia gli stranieri extra-comunitari rappresentavano il 5,8% del totale della popolazione e il 33% della popolazione carceraria.


Ci stiamo avvicinando verso la proclamazione delle legge marziale in Francia e negli USA (vedi la strage di 5 poliziotti a Dallas) ?
Purtroppo è presumibile che negli Stati Uniti ci saranno diverse altre sparatorie contro poliziotti bianchi.


Da subito il premier francese Hollande
ha inasprito e prolungato per altri tre mesi lo stato di emergenza.  
Non dimentichiamo però che, secondo la legge francese, lo stato di emergenza non dovrebbe durare più di 12 giorni !




Vedi anche: una famiglia tranquilla

II confine italo francese a Ventimiglia, a poche decine di chilometri da Nizza, è stato bloccato una manciata di minuti dopo il terribile attentato. Pattuglie di polizia e carabinieri hanno iniziato a controllare ogni automobile che si è presentata alla frontiera. Sia ai valichi che si trovano sull’Aurelia sia a quello autostradale di Ventimiglia. Posti di blocco di polizia e carabinieri sono stati attivati anche nella zona di Bordighera Sanremo e Imperia. 
Uomini con giubbotti antiproiettile e mitra in pugno hanno controllato centinaia di vetture con una particolare attenzione alla presenza di immigrati arabi. L’attività di prevenzione è stata annunciata a tempo indeterminato. Le autorità italiane sconsigliano di recarsi nella zona di Nizza per tutta la giornata di oggi e almeno fino a quando non rientra lo stato di emergenza proclamato dalla prefettura delle Alpi marittime.
 

I nostri auguri di buon lavoro al tenente dei Carabinieri Giovanni De Tommaso, che comanda il NORM di Ventimiglia e da mesi sta affrontando una situazione quasi insostenibile.

Vedi anche: i carabinieri presidiano i confini



Tensione in crescita anche in ambito NATO

Pochi giorni prima della strage di Nizza stavano avvenendo negoziati segreti per una soluzione del conflitto in Siria (ex protettorato francese dal 1920 al 1946).
Binali Yildirim, primo ministro della Turchia, in un proclama televisivo alla popolazione, ha dichiarato la volontà del governo di normalizzare le relazioni con la Siria; è stato però smentito dal vicepresidente del partito AKP di Erdogan, Aktay Yasin, il quale ribadisce che "la posizione turca non cambierà se Bachar al-Assad rimane al potere".

Si sono attivate 
relazioni febbrili e intreciate:  in Germania è andato segretamente il generale Ali Mameluk, coordinatore dei servizi segreti siriani; a Roma è arrivato il generale Mohammed Dib Zaitun, capo della sicurezza siriana; il generale Alberto Manenti, capo dei nostri servizi per l'estero (AISE)  si è recato con urgenza a Damasco, ufficiosamente per collaborare con i servizi siriani nella lotta contro il terrorismo islamico.

gen. Alberto Manenti



martedì 5 luglio 2016

Carabinieri-pompieri


5 luglio 2016.  Dalle ore 23:30 alle ore 03:30 di stanotte, è andato a fuoco un appartamento al numero civico 3 di Via Cimarosa (scala R), occupato abusivamente e in condizioni di forte degrado.
Le fiamme alte sono state coraggiosamente domate con idranti in seguito al tempestivo intervento degli uomini della nostra Tenenza, guidati dal maresciallo De Tommaso e aiutati da alcuni cittadini.
Si è potuto così evacuare senza vittime l'intero stabile di 8 piani e salvare 590 persone, che si sono riversate in strada avvolte da fumi ed esalazioni tossiche.
Il successivo intervento di tre autobotti dei Vigili del Fuoco e auto mediche ha permesso di bloccare il propagarsi delle fiamme e di soccorrere gli intossicati, che sono potuti rientrare nelle loro abitazioni prima dell'alba.


notte insonne per il maresciallo

Le indagini sulle cause dell'incendio sono ancora in corso.
Già chiara, invece, l'esasperazione in molti abitanti del quartiere Satellite, che devono convivere accanto a delinquenti e disperati vari e che la notte vengono continuamente svegliati da sirene di Carabinieri e di mezzi di soccorso che devono accorrere per rimediare ai danni provocati spesso da clandestini senza fissa dimora.

interno dell'appartamento






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domenica 3 luglio 2016

la rivolta dei cinesi

Carabiniere di etnia cinese

La rivolta dei cinesi. Solo l'inizio?


  scritto dal gen. Raffaele Vacca

(Ansa) Prato, 1 Luglio 2016 - Il responsabile dell' associazione cinese "La Città del Cervo Bianco" di Prato avrebbe attuato "indebite attività di vigilanza" in favore di connazionali, presidiando il territorio e "organizzando ronde o spedizioni" nei confronti di cittadini nordafricani, "anche estranei a fatti delittuosi". Lo riferisce la Polizia dando notizia di indagini in corso a Prato per aggressioni a cittadini extracomunitari, prevalentemente di origine magrebina.

L'altro ieri, i Carabinieri hanno arrestato due cinesi accusati di resistenza a pubblico ufficiale durante i tafferugli a Sesto Fiorentino. Proseguono intanto gli accertamenti anche da parte della Digos per ricostruire la dinamica dei disordini e le eventuali responsabilità dei singoli manifestanti (alcune centinaia).
La situazione a Sesto Fiorentino è tornata alla normalità dopo le due della notte scorsa.
 

I cinesi che hanno dato vita ad una rivolta a cui sono seguiti tafferugli sono stati dispersi dalla Polizia e altri si sono allontanati da soli nelle vie limitrofe a piazza Marconi. Dopo l’ultima carica sono rimasti contusi in modo lieve due Agenti di Polizia e un Carabiniere. 
La protesta era cominciata verso le 18 di mercoledì sera con i primi tafferugli tra Agenti e alcune decine di cinesi e ha poi assunto toni concitati con il passare delle ore….

(...) Le imprese cinesi erano così riuscite, anche grazie all’attività  di compiacenti professionisti sia italiani che cinesi, a costituire, Prato in testa, veri e propri distretti produttivi in grado di influenzare la lecita concorrenza nel libero mercato. Il giro d’affari della cd. “industria del falso” era stimato fra il 2 ed il 7 % dell’intero commercio mondiale.
Quello che urgentemente occorre, indipendentemente da costosissimi e inutili studi sociologici e blaterazioni di politici incompetenti, è, lo ripetiamo sino alla noia, un pressante controllo del territorio, una presenza costante delle "divise di quartiere", ben supportate da "Volanti"  della Polizia e da "Gazzelle"dell'Arma, in buon numero, implementate da Militari delle FFAA, quale unico e vero fattore di deterrenza contro il crimine, per un  rapido intervento all'emergenza, previo  monitoraggio dei fenomeni per cogliere segnali importanti di disagio sociale sfociabili in gravi rivolte.
Una volta che le periferie esploderanno, com'è possibile, non basteranno certamente i Reparti Celere della Polizia né i Battaglioni dei Carabinieri in tenuta antisommossa a risolvere i problemi dell'integrazione e del controllo di legalità, e questo in virtù del motto latino che recita che  "è meglio prevenire, che reprimere" … 


Si segnala che sull'argomento cinesi in Italia, il 17 Agosto 2013, su questa testata "attualita.it", abbiamo pubblicato altro articolo dal titolo:"La mafia cinese crea allarme da non sottovalutare.


       Raffaele Vacca, gen. b.
   
articolo completo su: attualita.it


vedi anche: quartieri dove lo stato non esiste


alamari alla caserma Cernaia

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Milan e Inter ai cinesi

La penetrazione capillare, città per città, quartiere per quartiere, del commercio e dell’insediamento cinese sono un evento paragonabile alle altre forme di immigrazione che stanno sfigurando il volto della nostra Patria, o non è un meccanismo attraverso cui viene costituita una formidabile testa di ponte straniera ?
Ciò che sorprende non è tanto la rivolta pratese e fiorentina, ma l’evidente condizione di extraterritorialità di pezzi interi dell’Italia e delle città. a precisa sensazione è che le regole per loro non valgano: quelle tributarie e fiscali, quelle igieniche, quelle del Codice del Consumo e tanto altro ancora.
L’occhiuta burocrazia italiana, sempre pronta a colpire qualsiasi minima irregolarità documentale a carico dei connazionali, diventa stranamente mite e comprensiva nei confronti del gigante orientale e dei suoi cittadini, come degli altri stranieri delle duecento cittadinanze presenti in Italia.
L’esperienza personale mi ha convinto che l’ampia disponibilità economica provenga da centrali molto potenti , probabilmente di malavita, con agganci di altissimo livello.
Quanto ai controlli di polizia che hanno innescato la rivolta toscana, al di là di momenti in cui la situazione può essere effettivamente sfuggita al controllo dei responsabili, ho diretta cognizione di ciò che accade. Indirizzi in cui si trovano nove, dieci magazzini diversi, capannoni e costruzioni abusive, cinesi di tutte le età che spuntano da ogni parte, schiamazzi, ostilità, macchinari in funzione ad ogni ora del giorno in ambienti malsani e privi di sicurezza, ragazzini ed anziani al lavoro, merci accatastate ovunque, difficoltà ad identificare chiunque dei presenti o ad individuare i titolari, in giro torvi caporalacci dall’aria inquietante . Poco dopo, primari studi legali in azione.
Questo è responsabilità nostra, dell’incuria, della sottovalutazione dei problemi, della diffusa corruzione, dell’incapacità di espellere e financo di individuare e dare un nome ai clandestini.

I cinesi, pare, gridavano arroganti “qui comandiamo noi”. E’ la verità, giacché, a differenza di quanto dimostrato nella fisica da Evangelista Torricelli, il vuoto non esiste, e qualcuno si incarica di riempirlo. La Cina della via Pistoiese è la più pericolosa delle nostre mille periferie, poiché all’illegalità corrente e diffusa, anzi alla legalità imposta da altri, si sovrappone l’economia sotterranea, la concorrenza sleale, il disprezzo per il lavoro altrui, lo schiavismo.
Lentamente, ma decisamente, in ogni angolo di un  pezzo di mondo chiamato ancora per una generazione Italia, gli stessi cinesi stanno affiancando o soppiantando altre etnie nella gestione della prostituzione, con i tanti finti centri massaggi. Ne siamo al corrente tutti, fuorché lo Stato ed i suoi organi.  Siamo anzi felici, se tifosi del Milan e dell’Inter, che gruppi industriali e finanziari  cinesi abbiano comprato le due prestigiose società calcistiche milanesi.

Qualunque addetto ai lavori può confermare la sporcizia di molti locali e ristoranti, l’enorme massa di denaro sottratto al fisco attraverso la sottofatturazione (le transazioni sono regolate in larga parte nella madre patria), fenomeno che l’Unione Europa non può arginare  in quanto le leggi comunitarie proteggono in ogni modo il commercio  e legano le mani agli Stati, i pericoli per la salute che vengono da prodotti che solo in parte entrano  direttamente in Italia, dove i controlli , tutto sommato, si fanno, ma attraverso altri Stati più compiacenti o attraverso porti, come il Pireo o quelli romeni, di diretta proprietà cinese.
Non è infrequente scoprire ospedali abusivi, per cui esiste un notevole contrabbando di farmaci, che è un reato grave. Inoltre, la rete di imprese cinesi si comporta come un kombinat, od uno Stato nella Stato, importando dalla madrepatria persino la carta igienica e le scope, oltre alla mole impressionante di bevande e di prodotti alimentari etnici, che provvedono alla comunità ed ai ristoranti diffusi capillarmente. Non vi è città, inoltre, dove non abbiano iniziato a rastrellare  bar anche in zone prestigiose, distribuendo soprattutto loro prodotti.

Evidentemente, agli italiani sta bene così. Del resto, nelle città dove più forte è la pressione dei clandestini africani tratti a riva dalla marina militare più buona del mondo, la nostra, si sta diffondendo un tipico fenomeno occidentale: nessuno vuole i nuovi arrivati, anche se tutti negano scandalizzati razzismo o xenofobia, ma la protesta si acquieta d’incanto quando i malcapitati vengono trasferiti più in là, salvo il riaccendersi della bega presso i nuovi vicini. In America la chiamano nimby, acronimo di “non nel mio cortile”. Il punto è che ormai sono in tutti i cortili ed anche dentro casa, come dimostrano occupazioni abusive, requisizioni di alberghi ed altro.

I cinesi no, si arrangiano benissimo tra loro, pagano sull’unghia e ci scacciano “dolcemente”.
Gli italiani sono indifferenti di fronte all’invasione, alla sostituzione di popolazione, all’illegalità, alla prospettiva di lasciare un patrimonio immenso di vita, cultura, sapienza, in mano a gente che non saprà che farsene e lo distruggerà senza problemi.
Anche questo è un fatto, di fronte al quale si resta sbigottiti.

      R. Pecchioli